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C’era un’asina assai smorfiosa,
sempre in posa, sempre in prosa.
Le davano fieno, ombra e carezze,
ma lei strillava con le sue schifezze.
“Non mi basta il cibo buono.
Io voglio inchini, incenso e trono.
Se non mi guardi, se non mi senti,
ti butto addosso i miei lamenti”.
Era sciatta, arrogante e codarda,
più velenosa di un’erba bugiarda.
Faceva la vittima sol per mestiere,
ma poi nessuno le dava da bere.
Voleva l’amore di chi la schifava,
ambiva l’applauso di chi la ignorava.
“Mi vendicherò con un libro sul nulla,
del mio ragliare vi riempio la culla”.
Raglio su raglio, saliva la pena,
nessuno rideva, la voce era piena
di lagne sfinite, di frasi ingoiate,
di verità false e mezze inventate.
Così alla fine fu ascoltata davvero,
ma non per stima, né per mistero:
“Guardala lì” - dicevano a tono -
fa solo pena… e non ha più suono”.